Ultimo sguardo al '900
Corsi di disegno, frequentazioni di pittori e gallerie, esperienza diretta di incisioni e stampe: così si delinea il mio primo incontro con l'atre figurativa. Prima di essere una strada precisa, è stato un panorama, circoscritto ma ancora indistinto, dove poter cogliere o scartare, seguendo all'inizio un'attitudine e rintracciando via via con chiarezza un bisogno ormai essenziale e definitivo.
Verso il '68, dopo i tradizionali paesaggi accademici coi colori, attratto dalle lamiere di zinco, realizzai una serie di piccole sculture, non più alte di 30cm., dove prevaleva il ritmo delle linee. Le saldature erano volutamente trascurate, non precise, per ottenere, a scapito della levigatezza, un impatto più immediato, una resa di tipo compendiario. I miei lavori trovarono riscontro e consensi in occasione di una mostra alla Dea in omaggio a Guttuso.
Da questo momento parte con decisione una precisa e mai interrotta sperimentazione sulla materia e sulle molteplici possibilità di traduzione e di rimandi.
Fino al '75 prosegue il mio lavoro di scultore con legno, ferro, lamiera zincata, rame, a cui si aggiungono bassorilievi in legno stratificato: una produzione che spazia dal piccolo formato ì20x30 alle grandi dimensioni 100x250, per un totale rispettivamente di circa 30 e 15 pezzi.
L'attenzione alla linea, come pura armonia o indirizzata alla figura, continua a prevalere sulla cura delle rifiniture, dalla saldatura al taglio, trascurabili e non opportune per il mio assunto immediato.
Senza mai tralasciare la mia ricerca sulla materia, ripresi a dipingere con tecniche miste. Una mostra alla Galleria "Il Mandracchio" di San Benedetto del Tronto, con 25 quadri e 15 cartelle d'incisioni su zinco colorate ad olio, segna comunque il mio distacco dalla pittura.
Sono del 1974 le bolle. Le considero il primo vero tentativo per inoltrarmi in pieno, senza riserve, in una specie di sabbie mobili, nell'anima della materia. Steso il primo impasto su lino grezzo, le bolle venivano ricavate a fiamma, sospendendo l'azione del calore di fronte al risultato ipotizzato.
E' del 1976 l'asta organizzata alla Sant'Agostino. I pezzi di questo periodo sono limitati, non più di 18 tra 40x50 e 60x80. Un anno dopo le bolle saranno esposte al MTEP di Torino.
Tessuti lisi, recuperati in vecchi armadi delle campagne piemontesi, lenzuoli logori e rammendati: così continua la mia ricerca materica. E' questo il periodo delle pezze che prosegue fino al 1987, con formati dal 50x70 al 130x200 e mostre a La Spezia, Torino e Cuneo.
E' il recupero di una cultura contadina dove un lenzuolo era anche nostalgia, la difesa di un sogno o di un vissuto da cui non ci si sapeva staccare, contro un futuro che appariva ben più incerto.
Sul filo di questa campagna e di quegli spaccati di paese si inseriscono i muri. In alcuni la ricerca si limita alla materia, in altri sono assemblati frammenti di vita come corde colorate o interruttori di corrente col filo tagliato: oggetti di uso comune che hanno scandito un tempo non così lontano dalla memoria di ognuno e ne hanno cristallizzato una storia intrinseca ed emblematica, parte ormai di un immaginario collettivo assurto a simbolo.
Sono interni ed esterni questi muri, spaziano tra i campi e le cappellette votive sorte ai crocicchi di sentieri per rientrare di nuovo alle pareti delle case nei quadri di devozione dove circola, tangibile, il valore della fede più semplice.
E tra interni ed esterni il passo è segnato dalle cancellate che puntualmente si ritrovano nei miei più attuali lavori.

Sergio Ponzio IV


Attraverso i muri, le porte, le immagini votive, si avverte il senso profondo e profondamente vero dell'arte di Ponzio IV e del suo percorso tra pittura e valori esistenziali, tra una sottesa spiritualità e le riaffioranti memorie del passato.
Allievo di Pontecorvo, sperimentatore attento ai linguaggi del Novecento, inesausto ricercatore dei frammenti di una realtà rivisitata, il pittore di La Spezia, ma residente da tempo a Torino, esprime nelle sue tecniche miste l'interesse per la materia, per le superfici corrose dalle intemperie, per le strutture in ferro che emergono dalla materia come antichi reperti incassati nel cemento e - ha scritto Marco Rosci - "con aspetti concettuali e di confronto con la cultura materiale e popolare devozionale", che lo "fa partecipe con ottimi risultati, della più avanzata cultura torinese...". Un lavoro, quello di Ponzio IV, rigoroso, estremamente misurato, scandito secondo una interiore visione della realtà circostante, del trascorrere del tempo, del rinnovarsi delle stagioni.
Una ricerca, la sua, che dall'inizio degli anni Settanta ha preso consistenza attraverso una serie di mostre e di presenze che attestano gli aspetti di un cammino estremamente misurato, controllato, segnato da un continuo approfondimento dei mezzi espressivi.
E dalle rassegne della "Promotrice" al Valentino, a "ArtExpo" a Los Angeles, dalla personale alla "P.H. Gallery" di Torino, diretta da Giorgio Bosio, a quella alla Gallerie "B" di Parigi, si snoda l'essenza dell'impegno di Ponzio IV, che sfocia nel suggestivo spazio de "La Paracca" di Dada Rosso. In quell'occasione, Roberto Tessari sottolinea che la "declinazione formale tipica dell'artista persegue una sua personalissima alchimia dell'immagine perduta". Sembra, cioè, voler ripercorrere il processo costitutivo di tanti "oggetti visivi" riscoperti. E lo fa attraverso una pittura materica che s'impone l'ardua disciplina di re-inventare (oltre al colorismo sovente fantasmatico) spessori e increspature, rughe e dislivelli delle superfici di cui vivono i suoi soggetti".
Soggetti che rivelano, di volta in volta, un tessuto culturale legato all'arte d'oggi, alla straordinaria energia della materia che esalta il valore intrinseco di un linguaggio mai estenuato.
E una dolcissima Madonna con il Bambino, un cancello corroso, una lettiera, concorrono a definire l'impegno di un pittore che mediante i suoi "muri immagine" "imprime la memoria del tempo: ecco le tracce corrose di queste ringhiere affiorare come ombre corpose, e con esse - nota Francesco Butturini - sembra di vedere le storie domestiche che queste tracce toccano e sollecitano. Non é questione di pittura o scultura. É questione di forte impressione globalmente artistica che nasce da una nuova presa di possesso di sensazioni ...".
In particolare, il discorso di Ponzio IV appare contraddistinto dalla sequenza delle "porte" che diventano il simbolo del percorso dell'umanità: dal II conflitto mondiale alla nuova tragica guerra nell'ex Jugoslavia. Un percorso doloroso, tragico, inquietante.
E la porta é contemporaneamente chiusura e possibilità di "entrate" in altro, è negazione di una realtà che si cela dietro il battente e la possibilità di "scoprire" invece aree geografiche alternative, luoghi della memoria, sottese emozioni.
In tale direzione, si configura il lungo e interiorizzato capitolo della pittura-scultura di Ponzio IV e la sua capacità di trasmettere il fascino di una figurazione che sembra ricollegarsi al passato, a grate di palazzi nobiliari, alle arabescate testiere di letti in ferro battuto. Vi é in questo artista la consapevolezza di utilizzare la materia come "media" principale, decisivo, determinante per fissare un affiorante ricordo, mentre segni graffiti percorrono la superficie, tracciano lettere di un personale alfabeto, frammenti di identità, piccoli cenni di un dettato che di tavola in tavola si completa, si chiarisce, si esprime in termini di un poetico risvolto dei contenuti. E proprio sui contenuti si delinea il lavoro di Ponzio IV, la dimensione di una scrittura che unisce un muro affrescato a un chiavistello, un anello in ferro al cemento, in una sorta di riscoperta di un tempo di memorie, di trascorsi eventi, di impercettibili segnali che emergono dalle sedimentazioni e dalle stratificazioni delle ere culturali, storiche, sociali.

Torino aprile 1999 - Angelo Mistrangelo

 

 

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