Ponzio IV, c'est par haserd que je l'ai connu... aprés être tombé en arrêt, avec mon ami Gribaudo, devant unde ses tableaux tout en matièere avec des incrustations de fer forgé roullé. C'était à Turin dans son magasin d'antiquités. Ponzio, il ira loin et il faut retenir ce nom.
Mettez à la place d'un vrai mur, une grille patiemment contruite, vous y verrez un rêve, celui que vous livre Ponzio avec ses surfaces déchirées.
... Ponzio IV ha avviato in seguito una ricerca personale in atto tutt'ora che, pur sensibile agli indirizzi internazionali, risulta originalmente caratterizzata sia dal punto di vista linguistico chi ispirativo...
... una manifestazione espositiva dedicata all'opera ventennale dell'artista Ponzio, originario di La Spezia ma attivo a Torino dove é stato allievo di Pontecorvo. La sua ricca sperimentazione soprattutto materica, inizialmente anche di strutture metalliche, con aspetti concettuali e di confronto con la cultura materiale e popolare devozionale, lo fa partecipe con ottimi risultati della più avanzata cultura torinese, con recenti riconoscimenti anche in ambito parigino.
É capitato (e ancora capita a molti), soprattutto durante l'infanzia, di perdersi trasognati nella contemplazione d'una macchia di umidità, oppure d'un pezzo d'intonaco scrostato, sul soffitto o sulla vecchia parete d'una stanza. Davanti a quei segni - che la ragione adulta considera con fastidio: mere imperfezioni da cancellare, onde poter godere il privilegio di vivere entro una spazialità affatto nitida: sempre 'nuova', sempre 'pulita' - la fantasia creatrice sente il bisogno di sostare riposatamente, sino a scoprirli quali geroglifici pregni di sensi enigmatici. Sino a riconoscere in essi un'immagine tanto più ricca di significato e di energia espressiva quanto più il suo disegno sembra affiorare a sorpresa da una dimensione negletta, dove forme misteriose paiono essersi rifugiate per restare nascoste, sfuggendo così alla percezione banale dei frettolosi sguardi quotidiani. Ciò che può verificarsi nel chiuso d'una stanza, potrebbe succedere ancora entro gli spazi metropolitani che l'uomo moderno percorre distrattamente ogni giorno: scoprire i brandelli di muro, memorie di cancellate, pezzi d'arte minore, frammenti segnici incongrui affioranti a sorpresa dalle pretese integralistiche d'una geometria urbana risolta in iperbole di superfici e volumi pretenziosi: ben scontornati, e meglio "tirati a lucido". Perché questo accada, occorre comunque uno sguardo d'artista: la visionarietà di chi sappia riportare alla luce il nascosto e il dimenticato, esaltando in primissimo piano quei maggiori o minori 'geroglifici' atemporali che il dinamismo del presente cerca di nascondere, quasi con vergogna, tra le pieghe più oscure di sfondi difficilmente penetrabili. E quanto avviene, appunto, nelle opere di Ponzio IV: metafisica galleria di frantumi d'antica eloquenza delle cose, rintracciati con l'amore del collezionista e con lo spirito dell'avventura dello scopritore di segreti, assolutizzati attraverso inquadrature che ne sprigionano tutta l'autonoma forza inespressiva (ma celebrandoli, al contempo, quali 'motori immobili' di un'aura assimilabile a quella dei simboli più enigmatici). Non si tratta, qui, d'una sorta di 'minimalismo fotografico' teso alla riproduzione di relitti e di curiositates incongrui all'ansia razionalistica della civiltà postmoderna: la declinazione formale tipica dell'artista persegue piuttosto una sua personalissima alchimia dell'immagine perduta. Sembra, cioè, voler ripercorrere il processo costitutivo di tanti 'oggetti visivi' riscoperti. E lo fa attraverso una pittura materica che s'impone l'ardua disciplina di reinventare (oltre al colorismo sovente fantasmatico) spessori e increspature, rughe e dislivelli delle superfici di cui vivono i suoi soggetti. Così possono rinascere, anche agli occhi del fruitore, consistenza e fragranza di relitti immarinari che s'impongono discreti alla 'strana' ma ineludibile necessità di ognuno di saper contemplare con sguardo saviamente infantile, per vivere ancora in luce di poesia.
Sulle sue superfici corrose, simili a muri consumati dal tempo e dalla pioggia, "l'impronta di una ringhiera di finestra o di lettiera assume - scrive Francesco Butturini nel depliant che correda la mostra - la valenza di una esplicita testimonianza di vita che si perpetua trasmutando strumenti attivi ed utili alla vita di tutti i giorni in simboli e metafore che acquistano altra vita ed altra utilità di più lunga gittata nel tempo".
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